Can I have a Coffee?

La ciotola piena zeppa di spaghetti mi fissa interrogativa. Prendo le bacchette e comincio a mangiare, ridendo tra me e me della situazione nella quale sono capitata.
Mi guardo intorno, il locale conta altri due tavolini oltre al mio e sono vuoti. D’altronde sono le 5 del pomeriggio, nessuno sano di mente mangerebbe cena a quest’ora.
A casa mia questa è l’ora della merenda e del caffè. Ecco, io volevo solo bere un caffè o al massimo un cappuccino.
Torno a fissare la ciotola che ho di fronte, mangio un altro boccone.
Come cavolo ci sono finita a mangiare spaghetti freddi piccanti?

Facciamo un passo indietro e torniamo a questa mattina, al mio arrivo a Zhangye.
Esco dalla stazione dei treni alle 4.30 del mattino, il treno ha avuto un ritardo di tre ore e io sono sfinita.
Quando finalmente varco la soglia del mio ostello, sta per albeggiare.

La zona nella quale si trova il mio ostello è caotica, sporca e vissuta.
È reale, come piace a me.
Una miriade di negozietti disordinati si ammassano lungo le strade trafficate, gli abitanti indaffarati camminano svelti lasciandomi addosso occhiate torve e indecifrabili. Le motociclette sfidano la sorte zigzagando veloci tra i pedoni, un concerto di clacson e grida le aiuta nell’impresa.
Dopo una dormita ristoratrice ho un urgente bisogno di caffè. Decido di esplorare la città alla ricerca di un bar o di una caffetteria.
Non ho idea di come orientarmi tra gli ideogrammi intricati che pendono dalle insegne, le traduzioni in inglese sono un lontano miraggio. Cammino affidandomi ai suggerimenti di Google Maps, e mi dirigo verso i pochi locali indicati sulla mappa. Mano a mano che li raggiungo li scopro chiusi o del tutto inesistenti. Ho fortuna quando un locale è effettivamente presente, ma quel che trovo è un salone di bellezza o un negozio di vestiti, o luoghi dei quali non ne capisco la natura e la funzione.
Le strade sono un susseguirsi infinito di esercizi commerciali di ogni tipo, minimarket, negozi di oggettistica, tabacchi, farmacie e ristoranti, parrucchieri e negozi di scarpe. Non mancano le vetrinette dei dolci, le mie preferite!

Proseguo lungo la via, lanciando un occhio in ogni porta e vetrina nella speranza di trovare ciò che cerco, ma a quanto pare da queste parti il caffè non è particolarmente amato.
Poco male, passo al Piano B e cerco la traduzione della parola caffè in cinese.
Sullo schermo del mio cellulare compaiono gli ideogrammi:
咖啡 , kāfēi.
Speravo in simboli un pochino più facili, ma non mi arrendo! Studio attentamente gli ideogrammi per cercare di trovare qualche corrispondenza o somiglianza ad oggetti e lettere a me note.
Dopo qualche secondo di attenta osservazione mi rimetto in marcia con passo sicuro, questa volta non posso fallire! Devo cercare un simbolo simile ad un palo della luce, preceduto da qualche quadratino.
Fattibile! Quadratini e pali della luce, quadratini e pali della luce.
Scruto attentamente i simboli colorati che campeggiano dalle insegne, vago di strada in strada, di vicolo in vicolo aguzzando la vista esamino i cartelli, le lavagne, le vetrine. Ma di quadratini e pali della luce neanche l’ombra.

È pomeriggio inoltrato e il cielo minaccia pioggia, decido quindi di ritornare sui miei passi. La mia attenzione viene però catturata da un localino minuscolo e anonimo. Pare sia differente da tutti gli altri e mi sembra di vedere delle tazze sui tavoli.
Entro con convinzione e speranza, l’ho trovato finalmente!
Vengo accolta da una dolcissima signora molto sorridente, non parla inglese ma mi fa segno di prendere posto. Sono l’unica cliente.
Mi guardo intorno e la prima cosa che noto è l’assenza di una macchina del caffè. Forse ho sbagliato ancora.
Il locale è davvero minuscolo, non capisco che cosa venda. Sembrerebbe una specie di baretto.
Io mi butto: “Nihao! Do you speak english?” ciao, parli inglese?
Sospetto già quale sia la risposta, ma la speranza è l’ultima a morire.
La signora fa un cenno negativo con la testa e risponde felice con qualche frase in cinese.
“Coffee? Do you have coffee?”  chiedo, mimando il tipico gesto di bere da una tazzina.
Rimane un momento in silenzio, per poi proseguire con un lungo monologo.
Mi indica il menù, che ovviamente è in cinese, e attende l’ordinazione piena di trepidazione e speranza.
Io rimango interdetta per qualche secondo, prendo il mio traduttore automatico e provo a interpretare il menu.

Ecco come risulta il menu tradotto da Google Translator.
Voi che cosa scegliereste?

Scopro di essere finita nell’ennesimo ristorantino cinese, le vie della città ne sono piene.
Mi volto verso la signora con l’intenzione di salutarla e di andare via, ma vengo colpita dal suo sguardo di totale adorazione e aspettativa. Non vede letteralmente l’ora di servirmi qualche sua pietanza. Ho come il sospetto di essere la prima occidentale a mettere piede nel suo locale.
La guardo per un lunghissimo secondo, poi sento la mia voce che in totale autonomia dice: “This!”, mentre la mia mano indica un punto totalmente casuale del menu.
La mia faccia deve aver assunto l’espressione più interrogativa della quale sono capace, perché la signora mi fa segno di raggiungerla indicando un punto dietro al piccolo bancone nel quale si trova.
Mi mostra un mucchio di spaghetti dal colore scuro e sorride felice.
Io mi armo di traduttore e alla mia domanda: “Con che cosa vengono conditi?”
Lei risponde che sono fatti di grano saraceno.
Provo a semplificare la domanda e chiedo: “Con quale sugo?”
Lei risponde fiera che li prepara con le sue mani e che sono di ottima qualità.
Mi arrendo di fronte all’inutilità del traduttore.
Indicando gli spaghetti faccio un cenno affermativo con la testa, qualunque sia il condimento lo scoprirò di lì a poco. Spero almeno non sia niente di ancora vivo!
Prende un sacchetto e mima il gesto di metterci dentro gli spaghetti, ma io non voglio il take-away, vorrei sedermi. Indico un tavolo e mimo la posizione seduta piegandomi sulle ginocchia più volte. Con le mani fingo mi mangiare.
Lei sembra non capire e seguita sventolando il sacchetto di plastica, mentre io continuo imperterrita nella mia richiesta, sottolineandola con movimenti più marcati. Il risultato è una sorta di balletto esilarante accompagnato da un mix di parole anglo-italo-cinesi, e finiamo per scoppiare a ridere entrambe.
Finalmente mi siedo e nel giro di pochi minuti mi ritrovo davanti un piattone di tagliatelle piccanti alle verdure.
Eccomi qui, sperduta per le vie di Zhangye mangiando spaghetti freddi piccanti alle 5 del pomeriggio. E pensare che io volevo solo un caffè!

Comincio a mangiare, lei mi guarda con gli occhi che sprizzano stelline da tutte le parti. Il presentimento di essere la sua prima cliente occidentale si fa più fondato.
Ad un tratto mi si avvicina e comincia a parlarmi.
Con la lingua cinese il traduttore non vale un granché, ma è sempre meglio di niente.
Comincia quindi una sorta di comunicazione mal tradotta, basata soprattutto sull’intuizione e ne risulta una conversazione alquanto enigmatica.
La signora è davvero molto gentile, cordiale e attenta. Ad un tratto mi porge un bicchiere di acqua bollente e mi fa segno di bere. Io ringrazio un pochino dubbiosa.
Finisco di mangiare l’abbondante porzione di spaghetti, la bocca mi brucia un po’ per il peperoncino. Neanche mi avesse letto nel pensiero, la signora mi si avvicina e mi mette nella ciotola un pugnetto di tagliatelle bianche molto grosse. Mi fa segno di mangiare. Ne assaggio un boccone e subito il bruciore del peperoncino si allevia.
Mi racconta che questo tipo di tagliatelle serve proprio ad alleviare il bruciore del piccante, e che è un piatto tipico del posto. O almeno, così ho intuito dalle traduzioni di Google Translate!
Le dico che era tutto ottimo, lei mi sorride e mi abbraccia felice. Ha i modi di fare dolci e buoni di una mamma!
Quando me ne vado mi sento incredibilmente bene.
La Cina si sta rivelando davvero imprevedibile, anche nelle piccole cose, e mi piace ogni giorno un po’ di più!

2 Risposte a “Can I have a Coffee?”

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