Cina, here I come! Pechino, la prima tappa

Il treno per Pechino, stazione di Ulan Bator

Un estenuante viaggio in treno, della durata di quasi 32 ore, mi separano dalla mia prossima tappa, Pechino.
Nonostante l’atteggiamento a tratti molesto delle mie due compagne di viaggio, la traversata si rivela relativamente comoda.
Condivido lo scompartimento con una giovane donna dal carattere timido e modesto, che viaggia in compagnata dalla figlioletta, un’adorabile creaturina dalla potente voce un tantino assordante.
Hanno lasciato la Mongolia, il loro paese d’origine, con l’intenzione di stabilirsi in Cina per lavoro.

Il lungo viaggio è determinato da qualche momento di gioia e condivisione, alternati ad attimi di pura sofferenza psicologica. Non è affatto facile mantenere i nervi saldi durante la convivenza forzata con un’infante, in spazi scomodi e ristretti.

Nel preciso momento in cui le due hanno messo piede nella cuccetta, l’intero scompartimento è stato ridotto a un letamaio, senza contare il soave olezzo di vividi fior (cit. Inno al Trentino) proveniente dal pannolino della cucciola d’uomo, che sovente si diffondeva nella piccola cabina. È sorprendente la frequenza con la quale la pargoletta era in grado di produrre materia fecale dal pericoloso odore nauseabondo!
E mentre l’innocente frugoletta mi si strofinava addosso, pulendosi il moccio sui miei pantaloni, la madre assai raffreddata tossiva a destra e a manca.
Non capisco se per dimenticanza, male educazione o semplicemente usanze differenti: sta di fatto che non ha mai avuto l’accortezza di mettere una mano davanti alla bocca. Ecco dunque che una considerevole espulsione di germi mi investiva ad ogni accesso di tosse.

Nel mio paese è in uso un modo di dire, perfetto per l’occasione:
Se la strada del paradìs la fusa isì, farìa firma!”, ad indicare che se la strada per il paradiso fosse così agevole e pratica, la si accetterebbe subito e senza il minimo dubbio.
Ecco, io l’ho trasformato nel mio personale mantra, e tra grida, pianti disperati e una bella dose di germi patogeni, sono giunta nella caotica città di Pechino.

Pechino
Pechino, la stazione dei treni

I primi intoppi in quel di Pechino

Appena scesa dal treno vengo soffocata da un caldo allucinante e sotto il peso del mio enorme zainone, mi dirigo verso l’uscita.
La prima cosa a sorprendermi è l’immane quantità di persone presenti, un gigantesco flusso di corpi che mi trasporta attraverso il lungo corridoio della stazione riversandosi in piazza e inondandola di colori, voci concitate, grida e risate.

La mia priorità è l’ottenimento di soldi in contanti, devo quindi trovare un qualsiasi sportello bancomat in funzione.
Una volta fuori dalla stazione provo ad ambientarmi un pochino, cercando di familiarizzare inutilmente con la moltitudine di ideogrammi cinesi che spiccano da ogni dove. Le traduzioni in inglese sono poche e casuali, ma abbastanza numerose per chi ha un minimo senso di osservazione. Mi dirigo quindi allo sportello bancomat più vicino.
Ricevo qui la prima batosta made in China: la mia carta non viene accettata poiché definita ‘anormale’.
Lì per lì mantengo la calma e penso alle parole del mio saggio amico Artem: “Il panico rende la mente poco lucida e la perdita di ottimismo non aiuta certo a risolvere le situazioni!”

Mi faccio forza e fiduciosa entro in un ristorantino poco distante. Nessuno parla inglese, ma con l’aiuto del traduttore automatico riesco a ricevere qualche informazione. Una simpatica signorina mi indica un punto di prelievo ATM che dispone di ben 5 sportelli, ma il mio iniziale entusiasmo viene meno nel momento in cui cominciano i miei tentativi di prelievo.
Provo ogni sportello, uno ad uno, e a ogni rifiuto il panico aumenta.

Il mio telefono è del tutto inutile: non ho alcuna connessione Internet, non ci sono reti Wi-Fi funzionanti e per qualche misterioso motivo il mio GPS è fuori uso.
Ho un estremo bisogno di soldi in contanti, senza i quali non posso fare assolutamente niente.
Do un’occhiata nel portafoglio e conto un totale di 3770 Tugrik. Una cifra assai misera dal momento che corrisponde a 10 Yuan cinesi, l’equivalente esatto di 1 euro e 30 cent (senza calcolare il tasso di cambio!).

La mia ricerca di una connessione Internet si fa ossessiva, lo stress e l’angoscia sono direttamente proporzionali all’insuccesso dei miei tentativi.
Poi, d’un tratto, ecco apparire una luce in fondo al nero tunnel della disperazione, assume le sembianze di una ragazza dai tratti occidentali.
Mi sta fissando e fa dei gesti per attirare la mia attenzione.
Sul viso ha la mia stessa espressione, a metà tra l’angustia e lo smarrimento.
La raggiungo e mi accorgo che è in compagnia di un gruppetto di viaggiatori occidentali, lo sguardo sconsolato volto agli sportelli bancomat inutilizzabili.

Siamo tutti nella medesima situazione e il mio morale sale di almeno 100 punti: non sono più sola nel condividere questo disgraziato destino!
Facciamo gruppo contro l’avversità comune e ci incamminiamo alla ricerca di una soluzione.
Di lì a poco, troviamo un Info Point nel quale ci viene gentilmente spiegato che le banche cinesi non riconoscono le carte bancomat estere. Per poter prelevare è necessario rivolgersi a banche internazionali specifiche, quali per esempio la ICBC. Ci viene indicato dove trovarne una, e con il cuore un pochino più leggero ci incamminiamo felici e speranzosi.

La stazione di Pechino Centrale

I contrattempi non sono finiti!

Una volta risolta la fondamentale questione del denaro, faccio ritorno alla stazione centrale per comprare un biglietto della metropolitana e raggiungere finalmente il mio ostello.
Da molteplici cartelli giganteschi appesi qua e là, capisco che non è possibile fare il biglietto all’interno della stazione della metro, ma è necessario farlo prima di entrarvi.
La segnaletica informativa mi dà due opzioni: dirigermi nella stazione dei treni e comperare il ticket alla biglietteria ordinaria, con l’aiuto cioè del personale, o provare ad arrangiarmi alla biglietteria automatica.

Non avendo banconote di piccolo taglio e non sapendo il prezzo medio del biglietto, decido di non rischiare e mi dirigo nella stazione dei treni. Trovo una fila di circa venti sportelli, ognuno dei quali è assediato da una massa di persone in attesa.
Un’insegna luminosa avverte che allo sportello numero 14 parlano inglese e mi metto pazientemente in fila.
Dopo circa 15 minuti di attesa, la ragazza dello sportello decide bene di chiudere la cassa e giustificando la sua scelta con qualche gesto incomprensibile, si alza e se ne va.

L’insegna luminosa continua imperterrita a indicare lo sportello 14 come unica possibilità di personale inglese-dotato, ma non avendo altra scelta mi sposto nella fila accanto.
Attendo per quella che mi pare un’eternità e raggiuta la cassiera le chiedo speranzosa se per caso parla inglese. Alla mia innocente domanda la sua faccia si deforma in un’espressione di totale terrore e scuote la testa ripetendo la proposizione negativa no no no no no no no un’infinità di volte.
Non mi lascio scoraggiare e provo a chiedere informazioni riguardo al ticket della metro. Cerco di farlo nella maniera più semplice possibile ma oramai la signora è andata in tilt e non mi ascolta; cerca invece di sbolognarmi il più in fretta possibile al collega della cassa uno.

Mi allontano assai afflitta, la cassa uno è particolarmente affollata e quando decido di provare alle casse automatiche scopro che non hanno la traduzione inglese.
Per un po’ girovago dispersa, il caldo è soffocante e lo zaino si fa sempre più pesante. Finalmente, dopo tanto peregrinare, trovo uno sportello dove riesco con fatica ad ottenere una Smart Card per i trasporti pubblici di Pechino, una specie di abbonamento settimanale.
Sono sfinita, ma il più è fatto.
Il mio GPS è ancora fuori uso ma fortunatamente l’ostello nel quale ho prenotato mi ha inviato informazioni super precise, e nel giro di mezz’ora lo raggiungo trionfante.
Non mi resta che buttarmi sotto la doccia e andare a esplorare la città!

Qianmen Main Street, Pechino

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