Request for Health Examinations: la visita medica

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Photo by: Shopify Partners

Quando ho intrapreso questo viaggio ero ignara dei luoghi nei quali mi avrebbe condotta, e non avevo alcuna idea di dove sarei potuta arrivare.
In realtà non avevo previsto alcun arrivo eventuale ed effettivo. Insomma, la Terra è rotonda (o almeno per alcuni di noi lo è ancora) e in una realtà utopica, nella quale le risorse monetarie non influenzano la vita di una persona, la si potrebbe girare all’infinito.

Le uniche mete certe del mio viaggio erano Russia, Mongolia e Cina;
alla partenza, il mio passaporto era già provvisto del visto per questi tre paesi.
Tutta la (dis)organizzazione pre-partenza quindi, si è basata unicamente sui primi tre mesi di viaggio, senza badare troppo al dopo.
In effetti, quando sono partita non potevo sapere se un fantomatico dopo ci sarebbe effettivamente stato, tutto dipendeva da quanto sarei riuscita a risparmiare durante la traversata Mosca-Shanghai.
Il proposito di raggiungere il Giappone e la Corea però, mi fluttuava nella mente, trovando posto tra le mille idee di possibili tratte e spostamenti.
Un pizzico di Australia e di Nuova Zelanda si sono in seguito aggiunte al calderone dei miei desideri, confondendo ulteriormente la mia capacità decisionale.

Poi, il viaggio ha avuto finalmente inizio e il tempo ha cominciato a scorrere con maggior rapidità.
I giorni si rincorrevano leggeri, riempiendo il mio cammino di persone fantastiche, luoghi magici e momenti unici.
I giorni volavano veloci, uno dopo l’altro mi si consumavano addosso lasciandomi il segno di ricordi indelebili.
Tutto è accaduto in un attimo, una frazione di secondo ed ero in Cina.
E in Giappone subito dopo.

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Photo by: Nicole De Khors

L’idea dell’Australia si faceva sempre più invadente nella mia testa, mi sono così decisa a metterla in pratica: da qualche parte nei dintorni di Tokyo ho fatto richiesta per il Working Holiday Visa australiano!
Questo tipo di visto ha una validità di 12 mesi e permette di soggiornare in Australia svolgendo qualunque tipo di lavoro.
Richiedere un Working Holiday Visa è molto semplice: bisogna compilare l’apposito modulo, rispondere a qualche domanda e fornire i documenti che vengono richiesti. Una volta pagata la modica somma di 490 dollari australiani (l’equivalente di 320 euro circa), si ottiene il visto di ingresso nel paese.

Generalmente, ottenere questo tipo di visto è estremamente facile, veloce e indolore. O almeno, lo è nel 99.9 % dei casi… ma non nel mio.
Nel mio caso, ho dovuto fare una visita medica generale, completa di radiografia al petto, da eseguire entro 28 giorni dall’avvenuta notifica, in uno degli ospedali specializzati in questo tipo di controlli.
Quando mi è stata comunicata la novella mi trovavo a Tokyo. Era il mio ultimo giorno in terra nipponica, il mattino seguente sarei partita per la Corea.
Facendo qualche ricerca sul Web, ho scoperto che le uniche città coreane nelle quali era possibile sottoporsi a questo tipo di visita erano Seoul o Busan; mi sono quindi organizzata di conseguenza.

Gamcheon Culture Village, Busan, viaggio in solitaria
Gamcheon Culture Village, Busan

La visita medica, un divertente videogioco a livelli

La città di Busan è quindi la mia seconda tappa in Corea del Sud, dopo Daegu.
La visita medica alla quale devo sottopormi è obbligatoria per il rilascio del visto Australiano, ed è quindi una priorità.
Fortunatamente mi basta fare qualche chiamata, e nel giro di un attimo prenoto un appuntamento per il giorno seguente.

L’ospedale in cui devo effettuare la visita si trova a tre fermate di metropolitana dal mio ostello, l’appuntamento è alle due.
Decido di presentarmi con un po’ di anticipo e quando varco la soglia dell’edificio, è da poco passata l’una del pomeriggio.
Non ho paura, ma sono un pochino preoccupata. Non ho mai fatto alcuna visita medica al di fuori dell’Italia, figuriamoci in Asia. Mi domando se parlano inglese e se sarò in grado di capire tutto ciò che mi verrà chiesto, che tipo di visita mi verrà fatta e a quali esami dovrò sottopormi… se devo essere sincera sono un po’ in ansia, ma insomma, gli ospedali non piacciono a nessuno!

Busan, viaggio in solitaria
Busan

Mi aggiro per l’atrio dell’ospedale in cerca di una qualche indicazione che possa aiutarmi nell’orientamento, ma i cartelli informativi e le piantine del piano sono scritti interamente in coreano.
Dopo un certo tempo passato a vagare con aria smarrita, noto la presenza di un grande banco informazioni posto proprio nel centro dell’atrio, di fronte all’entrata. Mi chiedo come ho fatto a non notarlo prima!

Mi avvicino alle tre signorine sedute al di là del lungo tavolo di plastica, e chiedo se qualcuna di loro parla inglese. Le tre ragazze si guardano preoccupate, hanno l’aria di chi rischia di essere scelta come prossima vittima sacrificale.
La più anziana delle tre mi indica furtivamente una delle compagne che, poverina, non può fare altro che alzare una mano timidamente.
Con tono gentile, le chiedo in quale ambulatorio viene effettuata la visita medica per il rilascio dei visti. Cerco di scandire bene le parole, per infonderle un po’ di fiducia. Lei sorride insicura e rimane in silenzio, guarda le altre in cerca di aiuto. Provo a ripetere la domanda utilizzando parole più semplici e parlando un po’ più lentamente, e lei mi fa segno di aspettare prendendo il telefono.

Dopo qualche parola in coreano, mi passa la cornetta e mi invita a parlarci dentro.
Mi allungo sul banco informazioni, che è piuttosto largo, e in punta di piedi riesco a prendere la cornetta del telefono.
Praticamente sdraiata sul tavolo, ripeto la mia domanda a un’anonima voce misteriosa, che finalmente mi dà le indicazioni che cerco.
Riconsegno quindi la cornetta alla signorina e la ringrazio.

Raggiungo l’ufficio indicatomi per telefono, comunico il mio nome alla segreteria e mi accomodo in sala d’aspetto.
Dopo qualche minuto di attesa una vocina dal tono dolce chiama il mio nome, con un po’ di titubanza sulla pronuncia.
“ENNN… LICA? E… EENLLICA?”
Alzando una mano raggiungo l’infermiera che mi sta chiamando. Le mostro il passaporto e dopo aver compilato qualche documento, mi dà la chiave di un armadietto, un completo ospedaliero in tela blu e una cartelletta contenente la lista delle visite alle quali mi devo sottoporre.

Vengo condotta in un ufficio, il numero 8, dove il medico presente mi indica la stanza accanto, la numero 7. È uno spogliatoio, dove devo indossare il completo ospedaliero che mi è stato consegnato (correlato di morbide ciabattine in pendant!), e riporre tutte le mie cose in un apposito armadietto.

Busan, viaggio in solitaria, Visita medica
Busan, viaggio in solitaria, Visita medica
Lo sciccosissimo completo!

Tornata nella stanza numero 8, il medico mi dà istruzione di recarmi alla 11 e di consegnare la mia cartelletta alle infermiere. Qui mi viene misurata la pressione, l’altezza e il peso.
Mi consegnano poi un oggetto a forma di cucchiaio e mi viene indicata una sedia. Osservo le infermiere confusa.
Mi fanno segno di sedere e di coprirmi un occhio con quella specie di cucchiaio gigante. Mi indicano quindi la tabella di misurazione della vista, appesa in fondo alla stanza.
Annuisco, sorridendo al pensiero di quello che potrei inventarmi qualora dovessero chiedermi di riferir loro qualche carattere coreano!
Fortunatamente, avendo intuito che io il coreano non lo so parlare e tantomeno leggere, mi vengono chiesti solamente i numeri.
Terminata la visita oculistica, scribacchiano qualche cosa sulla mia cartelletta e mi spediscono al prossimo ambulatorio, il numero 3.

Mi incammino in cerca della stanza giusta e mi guardo attorno. Una decina di persone vestite con il mio stesso completo blu si aggira per il corridoio, tutte con la testa per aria, la cartelletta sottobraccio e lo sguardo smarrito.
Mi sembra di essere dentro a un videogioco: gli ambulatori sono i diversi livelli di gioco e le visite mediche, le prove da superare.

Me la rido da sola mentre raggiungo la stanza (pardon, il livello) numero 3.
La giovane infermiera qui presente, cambia espressione nel momento stesso in cui mi vede arrivare. Speranzosa, mi chiede se parlo coreano, e alla mia risposta negativa sorride sconsolata. Mi consegna quindi un bicchiere di carta plastificata e utilizzando una sorta di linguaggio gestuale, mi spiega che serve per l’esame delle urine.
Nel ricevere questa informazione, rimango di sasso: non mi era stato detto che avrei dovuto fare questo tipo di esame e avendo letto che prima di una radiografia è bene andare in bagno, io ho fatto la pipì proprio prima di arrivare in ospedale, assicurandomi di svuotare per bene la vescica.

L’infermiera mi guarda con aria interrogativa, il bicchiere sollevato a mezz’aria. Lo prendo e mi dirigo sconsolata verso il bagno.
Credo di essere rimasta lì dentro almeno una mezzora. Mezzora di intensa meditazione nella quale ho atteso che il miracolo avvenisse.
E alla fine ce l’ho fatta, ho riempito per metà quel cavolo di bicchiere!
Torno trionfante dall’infermiera e le consegno il bicchiere vittoriosa.
Livello superato!

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Photo by: Sarah Pflug

La stanza successiva è la numero 6: è la volta della radiografia al petto.
La visita procede senza intoppi e in un attimo mi ritrovo a vagare nuovamente per i corridoi, questa volta in cerca della reception.
Consegnata la cartelletta, sono pronta per entrare nell’ultima stanza e affrontare il livello finale.

Trovo qui un medico che, seduto alla sua scrivania, osserva pensieroso quella che immagino essere la mia radiografia.
Mi accomodo e sbircio curiosa le mie costole nello schermo gigante del suo pc.
Il medico mi fa le stesse domande alle quali ho già risposto nel questionario per la richiesta del visto, che ho compilato online qualche giorno prima.
“Hai avuto il cancro negli ultimi 5 anni?”
“Hai mai avuto, o sei mai stata in contatto con persone aventi la tubercolosi?”
“Dipendenze da alcol o droghe?”

E così via.
Mi sottopone poi ad una visita medica generale, e consegnandomi la cartelletta mi dà il permesso di andare.

Torno nello spogliatoio, mi cambio e recupero le mie cose.
Alla reception vengo informata che i risultati saranno inviati direttamente a chi di competenza per il rilascio del visto.
Ringrazio le infermiere e mi dirigo alla cassa, dove verso la somma per il pagamento di 160.000 Won, ovvero 130 euro.
Esco dall’ospedale, notevolmente alleggerita dal punto di vista monetario.
Adesso non devo fare altro che aspettare e sperare che tutto vada per il meglio!
Incrocia le dita per me!

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Busan

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