L’ombra delle Ninfe

Racconto vincitore del I° Concorso letterario
“Molveno, lago delle meraviglie…
E se non fosse solo il solito lago?”
Anno 2017

Molveno, concorso letterario
Photo by: Brodie Vissers

Cadde in acqua.

Cade in acqua e mille spade di ghiaccio le trafiggono il corpo all’unisono, penetrando facilmente attraverso la sottile difesa che la sua veste può offrile.
Senza lasciarle via di scampo, togliendole il respiro.
Ogni fibra del suo corpo è paralizzata da un dolore vivo, pungente,
la bocca spalancata in un grido muto, tramutatosi in bolle d’aria via via sempre più piccole, sempre più rade.

Prima il dolore, poi la paura.
Non sa nuotare, non capisce come ora possa trovarsi lì, in quella situazione, in quel mondo a lei totalmente sconosciuto, sospesa nel mezzo della vastità di quelle acque torbide, fredde ed inospitali.
L’acqua rallenta ogni cosa. I suoi movimenti sono limitati, più pesanti.
I suoni attutiti faticano a raggiungere i suoi orecchi.
Persino il tempo sembra essersi dilatato, persino la morte tarda ad arrivare.
La frenesia rallentata dei movimenti dei suoi arti è del tutto inutile, non riesce a risalire verso la luce che la sovrasta, verso la salvezza.
La confusione e il panico prendono il sopravvento.

Intorno a lei solo blu opaco, sotto di lei il fondale minaccioso la chiama a se inesorabile. Il corpo comincia presto a reclamare la sua dose di ossigeno: i polmoni bruciano, teme possano esplodere. Fitte acute le trafiggono il petto. Paura. Spasmi violenti. Dolore. Disperazione. Panico.
Chiude gli occhi, e poi, il nulla.
Tutto si ferma.

Siede su di un grande masso ricoperto di uno strato verdognolo e viscido.
È disorientata, non ha alcun ricordo nella mente. C’è una strana luce azzurro opaco, che le impedisce di vedere chiaramente i contorni di ciò che la circonda. Ha le orecchie tappate, i suoni giungono distanti e indefiniti con uno strano rimbombo.
Tutto è sfocato, torbido.
Si guarda intorno cercando qualcosa di famigliare, ma tutto ciò che i suoi occhi riescono a distinguere sono grandi masse scure e informi.
Prova a chiedere aiuto, ma dalla sua bocca escono solo grandi bolle d’aria, che risalgono verso l’alto in una danza confusa. La realtà la colpisce con sconvolgente lucidità, e con lei la memoria di quegli ultimi attimi.

Ora ricorda.
Non può che essere morta, annegata nelle acque del lago.
La paura lascia spazio ad una profonda tristezza e il disagio si tramuta piano in angoscia. Il cuore le martella nel petto, si sente sopraffatta da un forte bisogno di piangere, di urlare. Sta per esplodere ma qualcosa la blocca.

D’improvviso lo sente.
Rimane immobile, le orecchie tese. Un movimento. Un altro ancora.
Trema. C’è qualcuno nascosto nell’ombra. Un lieve bisbiglio di voci confuse si fa strada nell’immobilità statica di quel luogo, ma intorno a lei, il nulla. I suoi occhi non riescono a penetrare attraverso la massa scura e torbida dell’acqua. Si guarda attorno con ansia sempre maggiore, mentre il parlottio sommesso si fa più forte. Ora riesce a distinguerlo meglio: sono voci di donna. Sembra quasi un mugugno, un lamento.

Non ne distingue ancora bene le parole, ma può percepirne la profonda tristezza e la forte disperazione.
Il tono di quelle voci aumenta con lenta costanza, i fruscii si fanno più numerosi e dal buio cominciano ad emergere inconsistenti esseri bianchi, che sinuosi le danzano attorno, fluttuando eleganti dinanzi a lei.
Bianche figure femminili, dai contorni imprecisi. Sembrano essere un tutt’uno con l’acqua

Le loro voci si fanno più forti e numerose, mentre quegli esseri eterei sembrano moltiplicarsi.
Lei li osserva in ossequioso silenzio; non ha più paura, non prova rabbia ne angoscia. Non prova più nulla, tutto in lei si è zittito, annullato.
Guarda incantata quella danza, non riesce a distogliere lo sguardo, ne è ipnotizzata.
Gli spiriti dell’acqua continuano imperterriti nel loro triste canto, i loro visi sono maschere di pietra, i dolci lineamenti femminili contratti in espressioni di austera compostezza. La guardano con profondi occhi vitrei, che racchiudono segreti millenari, sussurrandole storie antiche come le acque di quel lago.
La litania guadagna potenza, assume consistenza e ritmo, facendo nascere dentro di lei una sensazione di profonda tristezza, angoscia, senso di impotenza.

Avida ignoranza acceca gli esseri terreni
la fine del nostro tempo è segnata.
Dall’acqua veniamo e ad essa siamo legate
dall’acqua il Tutto trae origine,
e l’origine di tutto fu a causa dell’acqua.
Della sua potenza. Della sua Energia.

Avida ignoranza guida gli esseri terreni
la fine del nostro tempo è giunta.
Sventreranno le viscere di nostra madre,
scavando una voragine con morsi di acciaio e assordante fuoco.

Avida ignoranza assorda gli esseri terreni
non sentiranno la nostre grida di terrore.
Il nostro tempo è giunto al termine.
Oblio. Oblio. Oblio.
Vagheremo disperse nell’Oblio.
Per l’Eternità.

Le loro movenze eleganti si fanno più veloci, più caotiche. Sono terribilmente
spaventate.
Lo può sentire chiaramente dentro di lei, è inondata da sentimenti e sensazioni che non le appartengono.
Non comprende appieno il senso di quelle parole, ma capisce che un grande pericolo le minaccia, che un qualcosa di terribile sta per abbattersi su di loro, e che loro non possono fare nulla per fermarlo.
Gli spiriti volteggiano ad una velocità pazzesca, passandole vicino senza mai toccarla. Non ne distingue più i tratti, sono solo macchie bianche che le sfrecciano intorno disordinate, zigzagando senza un senso preciso, ripetendo la loro preghiera mille e mille volte. Le voci sempre più alte, sempre più disperate.

Oblio. Oblio. Oblio.

Il volume delle voci aumenta a dismisura, concentrandosi solo sulle ultime tre strofe di quel triste canto.
Non si capisce più nulla, gli spiriti hanno perso ogni senso del controllo e della ragione, le vorticano attorno sempre più rapidi sempre più vicini.
La stringono sempre più in sempre meno spazio, creando una specie di vortice intorno a lei. Le manca il respiro, il cuore le batte all’impazzata, il vortice si fa più stretto, più vicino. Cade a terra schiacciata dalla pesantezza delle sensazioni che gli spiriti le trasmettono.
Gridano. I loro visi sono deformati dal panico e dalla rabbia dell’impotenza, e dall’atrocità della morte imminente.

Oblio. Oblio. Oblio.

Grida sempre più acute, si tramutano in un unica vocale, che cresce di intensità. Un unico forte urlo agghiacciante le perfora i timpani. Porta le mani agli orecchi. Il vortice si chiude sopra di lei. Il grido sovrumano le entra dentro.
Chiude gli occhi.

Molveno, concorso letterario, anguane
Foto di Prawny 

Spalancò gli occhi svegliandosi di soprassalto, aveva il fiato corto, la fronte imperlata di sudore. Rimase intontita per qualche secondo.
La testa indolenzita, negli orecchi ronzava ancora l’eco di quelle voci.
Quando il battito del suo cuore tornò regolare, fece un lungo sospiro di sollievo e realizzò di trovarsi al sicuro nel suo letto. Non era morta, era solo un sogno.
Si alzò malvolentieri, indossò i pesanti indumenti in lana e sistematasi il fazzoletto in testa, raggiunse sua madre in cucina.

Non aveva fame, era ancora troppo confusa. Aveva bisogno di aria fresca, di mettere in moto il proprio corpo per dare un freno ai suoi pensieri.
Non le dispiacque quindi di dover portare il latte appena munto da suo padre al casel [1].
Senza dire una parola più del necessario, indossò la grossa sciarpa di lana, infilò gli zoccoli di legno ai piedi, e aspettò paziente che il padre travasasse il latte in un secondo secchio pulito.
Uscì di casa, attraversò il cortile pieno di attrezzi e si diresse decisa verso il sentiero che portava in paese.

Quello strano sogno l’aveva messa in agitazione. Camminava distratta e quasi non si accorse dell’arrivo di Teresa.
– Tut ben Mariota? Che gas ancoi? [2]
Maria si voltò, e i suoi occhi misero a fuoco il viso sorridente di Teresa, l’amica che, come tutte le mattine la aspettava per andare insieme al casel.
– Dai movete che vegn tardi! Che ancoi vegn anca quel da Cavedac col petrolio, e gai da spetarlo a casa perchè i mei ie tuti giò l’Iscia ente per i campi! E che el vegna en presa, che mi no g’hai voia de spetarlo tut el di! Ma te enpenses Mariota? Che n’alter an poden desmentegarnele ste luminere e ste lanterne! Con la corente saren tuti siori! Ma ades te conti l’ultima… [3]

Teresa era come un vulcano, quando cominciava a parlare non riusciva a fermarsi più. Le sue parole erano un fiume, capace di inondarle la testa e la mente, spazzando via ogni brutto pensiero. Si sentiva rincuorata dalla sua presenza.
Represse in fondo al cuore tutte le strane sensazioni provate quella mattina, e indossò il suo miglior sorriso.
Si strinsero forte la mano, e si incamminarono spensierate per le ripide stradine del paese.

***

Maria si svegliò inquieta quella mattina, con un senso di timore opprimente. Cercò di non pensarci, di non dare troppo peso alla cosa. Non aveva tempo per simili sciocchezze, quel giorno cominciavano i lavori nei prati: bisognava portarvi lo sterco per concimarli, assicurandosi un buon primo taglio per il mese di luglio.
Suo marito la stava aspettando vicino al carro, già carico di tutti gli attrezzi utili al lavoro. Si affrettò a raggiungerlo, e insieme ai figlioletti si avviarono di buona lena.
Dopo qualche ora di duro lavoro, ecco giungere dal lago strani rumori. Sei teste si alzarono all’unisono, per capire di cosa si trattasse.

Fu il più piccolo ad individuarle per primo: più meno a metà lago si scorgevano le famose pompe di cui tanto si parlava, quelle che avrebbero svuotato il grande bacino della sua acqua per rendere possibile la fine dell’immane lavoro idroelettrico che già da qualche anno era cominciato.

Nello stesso istante in cui lei le vide, capì. E in quello stesso istante mille voci le scoppiarono in testa in un sol grido straziante.
Un istante nel quale ricordò. Ogni cosa. Ogni parola che allora le era parsa incomprensibile, ora avevano trovato un oscuro senso.
Le emozioni che la travolsero furono di intensità tale da farle cedere le gambe.
Si ritrovò a terra, la testa dilaniata da quelle grida terribili, il cuore infranto dalla consapevolezza di una morte silenziosa.

Il nostro tempo è giunto al termine.
Vagheremo disperse nell’Oblio.
Per l’Eternità.

Molveno, concorso letterario, anguane
Photo by: Brodie Vissers

Note

  1. Il casel era il luogo in cui si faceva il formaggio.
  2. Tutto bene Maria? Che cos’hai oggi?
  3. Dai muoviti che si fa tardi! Oggi viene anche l’uomo di Cavedago con il petrolio, e devo aspettarlo a casa perché i miei genitori sono nei campi dell’Ischia (zona di Molveno, ndr). Spero che arrivi presto, non ho nessuna voglia di aspettarlo per tutto il giorno! Ma te lo immagini Maria? L’anno prossimo possiamo dimenticarci delle lampade a petrolio e delle lanterne! Con la corrente elettrica saremo dei signori! Ma adesso ti racconto l’ultima…

2 Risposte a “L’ombra delle Ninfe”

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