Tra i tanti luoghi che Serjey mi ha portato a visitare, ce n’è uno che mi è piaciuto particolarmente: il vecchio ospedale abbandonato di Ekaterinburg, un edificio risalente agli anni ’60.
Ora, per chi non lo sapesse io adoro tutto ciò che è antico e che appartiene a epoche remote.
Qualsiasi vecchio oggetto datato esercita su di me un fascino irresistibile.
Per i vecchi libri poi, potrei fare pazzie!
Non conosco il motivo di questa mia fissazione, gli oggetti antichi hanno un’energia diversa. Vengono dal passato e ci raccontano le storie d’altri tempi.
L’ospedale abbandonato di Ekaterinburg è un edificio imponente e, a prima vista, assolutamente pericolante e del tutto inagibile.
Una volta giunti davanti ai suoi muri scrostati, Serjey mi assicura l’assoluta stabilità dell’edificio, e si addentra nei corridoi bui senza timore.
Nonostante una mia prima riluttanza mi decido a seguirlo, e varco piano la soglia dell’ospedale.
Cerco di fare il minimo rumore possibile, come se dovessi portare una sorta di rispetto a questo luogo.
Mi fermo ad ascoltare il silenzio che riempie le numerose stanze in disuso, macabre e magiche allo stesso tempo.
Ogni mio passo, un eco distorto che scivola lungo i corridoi anneriti dal tempo.
Le vecchie mura muffite scrutano la mia figura con occhi di vetro scheggiato, muti testimoni di miserabili vicende umane.
Storie di gioia, storie di morte.
Il pavimento ricoperto di bottiglie rotte e mozziconi di sigaretta, rivela il covo segreto degli adolescenti della zona che utilizzano queste mura come un rifugio.
Scalinata dopo scalinata, raggiungiamo il tetto della struttura.
Siamo circondati dai ruderi di un edificio in decadenza. Sotto di noi, la vista mozzafiato di Ekaterinburg al tramonto.
La città si estende sotto ai miei piedi, la guardo e mi riempio gli occhi della luce indefinita del momento presente, di questo attimo preciso.
È magia, magia pura.
Il mio corpo è bagnato dagli ultimi raggi di un sole morente, e mi chiedo chissà quali altri tramonti disseteranno queste mie membra.