Shanghai

Esco dalla metro e mi dirigo verso il grande parco di People’s Square, l’idea è quella di fare un giro nei dintorni per poi dirigermi al Bund e fare le foto di rito allo skyline della città. Cammino tranquilla, senza fretta. Di tanto in tanto lancio un’occhiata disinteressata all’interminabile fila di vetrine alla mia destra. I manichini mi osservano con il loro vuoto sguardo di plastica.
Supero un negozio dopo l’altro, è impressionante quanti ce ne siano.
Shanghai è in assoluto il paradiso dello shopping. Non c’è strada, vicolo, viale o viuzza che non sia costeggiato da file ininterrotte di negozi di ogni tipo, piccole botteghe o giganteschi centri commerciali. I nomi delle grandi marche fanno sfoggio di sé campeggiando da ogni dove, brand di lusso o catene che vendono merce a basso costo.
A Shanghai è possibile trovare praticamente di tutto. Tutto tranne le Birkenstock, quelle proprio non esistono in Cina. Mi è stato impossibile trovarle, per quanto le abbia cercate!

Oggi è il mio ultimo giorno in città. Nei giorni precedenti le foto scattate sono poche o nulle, quindi oggi è la mia ultima occasione per fare qualche fotografia.
Entro nel parco e mi faccio largo tra una ressa incredibile di gente. Mi dirigo verso uno dei tanti sentieri alberati con l’intenzione di addentrarmi verso il centro del parco, dove spero di trovare un po’ di quiete.
La calca di turisti blocca ogni mia via di fuga, sono praticamente incastrata tra decine e decine di persone che avanzano con estrema lentezza.
Il sentiero è costeggiato su entrambi i lati da due file di persone. Uomini e donne di mezza età, seduti uno accanto all’altra, tengono di fronte a sé un ombrello aperto ciascuno. Attaccato su ogni ombrello c’è un foglio di carta fittamente scritto in cinese, qualcuno è scritto a mano e qualcuno con il computer.
Mi domando che cosa vendano, oltre agli ombrelli non vedo merce di alcun tipo.
Mi fermo a dare un’occhiata, qualcuno dei fogli è correlato dalla foto di giovani donne e uomini. Scorro velocemente gli ideogrammi e l’unico dato che riesco a comprendere è l’altezza dei misteriosi ragazzi.
Mi chiedo se per caso non sia una sorta di protesta. Non so, mi vengono in mente i desaparecidos del Sud America. Magari questi giovani sono stati uccisi e/o imprigionati ingiustamente dal governo e i genitori mostrano al mondo i volti dei loro figli?
Osservo il volto dei presunti genitori e l’atteggiamento dei passanti che con disinteresse guardano le fotografie. Non c’è tristezza o serietà nei loro occhi, sono felici. Se la chiacchierano tranquilli, l’atmosfera generale è molto serena.
Decido di tenermi il dubbio e mi allontano.

Riesco a seminare gran parte della folla e raggiungo uno spiazzo aperto e apparentemente tranquillo.
Sto scattando qualche foto al laghetto che ho di fronte quando una vocina titubante alle mie spalle mi chiede da dove vengo. Aspettandomi un qualche venditore ambulante o una guida logorroica che vuole spillarmi denaro, rispondo con fare vagamente scontroso. Nel frattempo muovo i primi passi nella direzione opposta.
Mi blocco quando una seconda voce mi risponde in un italiano che, seppure incerto, è pur sempre italiano. Un cinese che parla italiano è l’ultima cosa che mi aspettavo di trovare.
Guardo bene la strana coppia di persone che ho davanti: un ragazzo e un anziano, entrambi con un bel sorriso felice, mi osservano curiosi e attenti.
Fanno parte di un vasto gruppo di studio formato da persone di tutti i tipi e le età. Una volta alla settimana si danno appuntamento al parco per praticare l’inglese e se trovano qualche turista ne approfittano per fare quattro chiacchere.
Mi parlano in un misto di inglese, italiano e spagnolo.
Hanno un modo di fare super simpatico e decido di fermarmi un momento con loro.
Sono le 14 e 17.

Il ragazzo più giovane è di Pechino, mi racconta che sta studiando l’italiano da qualche mese. Mi mostra un paio di schede di esercizio, e leggendo qualche frase mi chiede di correggerlo. Rimango davvero sorpresa, a parte qualche piccolo consiglio sulla pronuncia non ha bisogno di alcun aiuto, è bravissimo!
Parliamo di una miriade di argomenti differenti, sono una fonte inesauribile di idee, domande e argomentazioni. Musica, politica, viaggi, arte, storia, cibo.
“Pavarotti!” mi dice il più giovane.
“Colosseum!” dice il secondo, e tira fuori da chissà dove un piccolo album di fotografie di viaggio tutto malandato. Mi chiedo se se lo porti sempre appresso. Mi mostra fieramente le sue fotografie, una ad una. Italia, USA, Canada, Francia, Germania. Ha viaggiato parecchio!
Piano piano qualche cinese curioso si avvicina a noi e si ferma ad ascoltare con interesse. In men che non si dica mi ritrovo completamente circondata da decine di persone. Tutti vogliono parlare con me, ognuno vuole dire la sua e raccontarmi qualche cosa.
Parlo un po’ con tutti, di moltissime cose.
Sport, cibo, moda, tradizioni, scarpe. Ancora cibo.
Ogni tanto dalle retrovie, i nuovi arrivati danno prova della loro conoscenza della cultura italiana citando cose, città o personaggi casuali.
“Pizza!”
“Pavarotti!”
“Roma!”
“Inter!”
Il cerchio attorno a me si fa sempre più stretto mentre il consistente gruppo di cinesi mi sommerge di domande. Cercano di parlarmi a turno ma il più delle volte qualcuno si stufa di aspettare e cominciano a parlare tutti assieme.
“Ferrari!”
“Pavarotti!”
Sono incredibilmente informati e interessati a moltissime cose.
Calcio, musica, cibo, arte e cibo. Di nuovo.
“Pasta, spaghetti!
“Valentino Rossi!”
“Pavarotti!”
Mi avranno nominato Pavarotti un migliaio di volte!
Vogliono raccontarmi il loro paese, la loro lingua e i vari dialetti. Mi dicono che nel sud della Cina si parla il cantonese, ma la lingua ufficiale del paese è il mandarino. I dialetti parlati sono moltissimi, solo Shanghai ne conta più di 60.
“Pavarotti!”
“Juventus!”
Mi parlano della storia, di imperatori e governanti, di colonialismo e rivoluzione.
Ci scambiamo mille idee e pareri, gli argomenti sembrano inesauribili.
Religione, spiritualità, riti e rituali.
Il gruppo è in continuo mutamento, si fa più grande, cambia, ruota. C’è chi se ne va e chi si aggiunge.
Ogni tanto il ragazzo che studia italiano, rispunta da chissà dove e con in mano l’ennesima scheda di esercizio si intromette nel discorso chiedendomi un parere sulla pronuncia, o mostrandomi qualche video musicale italiano degli anni ’90.
Nel frattempo gli altri proseguono con i loro racconti e una voce alle mie spalle riprende il discorso dei dialetti che avevamo concluso più di un’ora fa.
“Pavarotti!”
“Napoli”
“Stivali!”
Io non so più da che parte guardare, sono immersa nella confusione più totale!
La canzone ‘Vorrei’ dei Lunapop in sottofondo.
Tra le mille cose che mi raccontano, mi svelano il senso delle persone con gli ombrelli viste nel pomeriggio. Quella parte del parco è chiamata ‘mercato dell’amore’ e da più di 40 anni è frequentato da un esercito di genitori impiccioni. In Cina, i ragazzi ‘devono’ trovare un partner entro i 30 anni al massimo, altrimenti secondo la società non hanno alcuna speranza. Nel caso non siano in grado di provvedere da soli alla propria vita amorosa, ci pensano i genitori. Mettono per iscritto tutti i dati e le informazioni dei figli e li espongono al parco, nella speranza di trovare qualcuno interessato. Ecco svelato il mistero!

È l’imbrunire, cala la sera.
 Il gruppo comincia a sfoltirsi, lentamente lo spazio attorno a me si fa più grande mano a mano che le persone se ne vanno. Mi guardo attorno e realizzo che le luci dei lampioni sono accese. Mi rendo conto che è notte.
Sto parlando con una decina di persone, del gruppo iniziale non è rimasto più nessuno.
Stiamo parlando di politica, economia, lavoro e disoccupazione.
Uno di loro in particolare è interessato alla Città del Vaticano.
“Ma perché non organizzate un’azione militare per invadere il Vaticano? Come può starvi bene il fatto di avere stati indipendenti all’interno della vostra nazione?”
“Non avete paura che possa organizzarsi per primo ed invadere l’Italia? E se avesse già una base missilistica?”
Mi porge queste domande con sincera preoccupazione e io non riesco a trattenere le risate. Gli spiego la situazione attuale dell’Italia, la sua storia e la relazione con il Vaticano. Abbiamo parlato del Papa, del cristianesimo e della nostra cultura.
Sono le nove passate, sto morendo di fame. Mi è letteralmente impossibile andare via, ogni mio tentativo fallisce miseramente!

Non ho mai incontrato persone con una tale capacità argomentativa, è assurdo.

Finalmente un poliziotto ci avvisa che il parco sta chiudendo e che dobbiamo andare via. Grazie al cielo! Non mi sento più i piedi, la voragine che ho nello stomaco ha assunto le proporzioni di un buco nero e le gambe mi chiedono pietà.
Saluto i miei curiosi amici alla stazione della metro, e mi trascino verso la prima bancarella di cibo che vedo.
La giornata è finita, tutti i miei piani sono andati a farsi benedire.
Riesco a malapena a fare qualche foto sfocata alla città di notte. Da una prospettiva discutibile.
Come gran finale trovo la metropolitana chiusa e mi tocca prendere un taxi per raggiungere l’ostello, ma sono felice e divertita.
Non riesco a togliermi il sorriso dalla faccia.

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